
Tratto dal I libro del ‘De vita solitaria’ in cui il Poeta esalta la solitudine come libertà dello spirito,
propizia all’attività intellettuale.
…Stare come in un posto di vedetta, osservando ai tuoi piedi le vicende e gli affanni degli uomini, e vedere ogni cosa – e particolarmente te stesso – passare con tutto l’universo; e non dover sopportare le molestie di una vecchiaia furtivamente insinuantesi, prima di averne sospettato l’appressarsi (questo accade a tutte le persone indaffarate), ma vederla molto tempo prima, e prepararle un corpo sano e un animo sereno. Sapere che questa non è la vita, ma l’ombra della vita; un albergo, non una casa; una strada, non la patria; una palestra, non una stanza. Non amare ciò che è transitorio e desiderare ciò che rimane: ma finché quello ci è accanto, sopportarlo in pace. Ricordar sempre di essere mortali, cui tuttavia è stata assicurata l’immortalità. Far andare indietro la memoria, vagabondare con l’animo per tutti i tempi, per tutti i luoghi; fermarsi qua e là, e parlare con tutti quelli che furono uomini illustri; dimenticare così gli autori di tutti i mali che ci sono accanto, talvolta anche noi stessi, e spinger l’animo tra le cose celesti, innalzandolo al di sopra di sé; meditare su ciò che lì accade, accendere con la meditazione il desiderio, ed esortare per converso te stesso, accostando al tuo cuore già in fiamme le fiaccole, per così dire, delle parole ardenti. È questo un frutto – e non è l’ultimo – della vita solitaria: chi non l’ha gustato non l’intende…
…e verso gli antichi non essere ingrati, ma render noti i loro nomi se sconosciuti, farli ritornare in onore se caduti in dimenticanza, trarli fuori dalle macerie del tempo, tramandarli alle generazioni dei pronipoti come degni di rispetto, averli nel cuore, averli sulle labbra come una dolce cosa…
Francesco Petrarca (dal I libro del ‘De vita solitaria)